Sommario

Premessa

Per avvicinarci a capire il peso della comunità universitaria nella società italiana, proviamo a determinare il numero totale di iscritti alle classi di laurea triennali e magistrali, ai master di primo e secondo livello, ai dottorati di ricerca, alle scuole di specializzazione, nonché del personale tecnico amministrativo, dei docenti e ricercatori a tempo indeterminato e a tempo determinato, dei collaboratori di ricerca e docenti a contratto, servendoci di dati Istat, USTAT-Miur e Miur-Cineca.

Compendiamo nella tabella seguente la numerosità delle diverse componenti dell’università italiana utilizzando i dati estratti ed elaborati da noi – vale a dire quelli relativi ai docenti/ricercatori a tempo indeterminato (T.I.) e determinato (T.D.), che vanno dal 2008 al 2020 – e dati provenienti dal Portale dei dati dell’Istruzione Superiore. Questi dati sono disponibili per segmenti temporali differenti. Abbiamo assunto l’arco temporale per il quale l’USTAT-Miur mette a disposizione i dati degli iscritti come periodo di riferimento per tutte le altre serie di dati. Tuttavia, come è ben visibile nella tabella, alcune di esse sono fornite solo per segmenti temporali più brevi. Dunque, le variazioni percentuali si riferiscono in alcuni casi ai periodi che abbiamo determinato, in altri a quelli per i quali disponiamo di dati.

Tabella 1 . Popolazione universitaria. Valori assoluti e percentuali. Fonte: ns. elaborazione dati USTAT-Miur e Miur-Cineca.

Anno Accademico

Iscritti [9]

Dottorandi [10]

Master I [11]

Master II [12]

Specializzandi [13]

Docenti e ricercatori [14]

Assegnisti di ricerca [15]

Docenti a Contratto [16]

Personale T.A. e coll. linguistici [17]

2010/2011

1.815.592

36392

30658

15956

35729

59124

n.d.

n.d.

n.d.

2011/2012

1.771.768

34877

25917

14957

34619

58210

n.d.

n.d.

n.d.

2012/2013

1.720.650

34921

25038

15151

39548

57453

15747

n.d.

n.d.

2013/2014

1.685.460

33508

27481

17007

43578

56608

16280

n.d.

n.d.

2014/2015

1.663.325

32771

26506

17951

36412

55606

15909

28107

n.d.

2015/2016

1.648.374

30012

27334

16940

37669

54766

14042

27360

57658

2016/2017

1.665.549

27823

33713

18079

36602

54548

13946

28237

57422

2017/2018

1.692.568

28454

45677

18328

36745

54152

14124

28973

56882

2018/2019

1.720.674

29479

44385

18742

34322

54675

14105

29956

56230

2019/2020

1.730.563

29651

60373

13353

n.d.

55870

14459

n.d.

55720

Variazione % 2010-2019

-4,68%

-18,52%

+96,92%

-16,31%

-3,94%

-5,50%

-8,18%

-6,58%

+3,36%

Confrontiamo ora i dati comparabili, vale a dire quelli del medesimo segmento temporale.

Tabella 2 . Popolazione universitaria. Dal 2015/2016 al 2018/2019. Valori assoluti e percentuali. Fonte: ns. elaborazione dati USTAT-Miur e Miur-Cineca.

Anno Accademico

Iscritti

Dottorandi

Master I

Master II

Specializzandi

Docenti e ricercatori

Assegnisti di ricerca

Docenti a Contratto

Personale T.A e coll. linguistici

Totale

2015/2016

1.648.374

30012

27334

16940

37669

54766

14042

27360

57658

1.914.155

2016/2017

1.665.549

27823

33713

18079

36602

54548

13946

28237

57422

1.935.919

2017/2018

1.692.568

28454

45677

18328

36745

54152

14124

28973

56882

1.975.903

2018/2019

1.720.674

29479

44385

18742

34322

54675

14105

29956

56230

2.002.568

Variazione % 2015-2018

+4,39%

-1,78%

+62,38%

+10,64%

-8,89%

-0,17%

+0,45%

+9,49%

-2,48%

+4,62%

Per quanto questo sia un quadro certamente molto parziale dell’evoluzione del sistema università nel suo complesso, e nonostante i segna li preoccupanti lanciati dai dati esaminati sui segmenti temporali più lunghi, nel segmento qui considerato possiamo notare una crescita del 4,62% della numerosità complessiva di interessati a vario titolo nelle attività universitarie. Notevole è anche che la crescita riguardi gli iscritti alle classi di laurea triennali e magistrali e ai master, nonché il personale docente e di ricerca temporaneo. Decrescono, invece, i docenti/ricercatori, il personale tecnico amministrativo e i collaboratori linguistici ed anche i dottorandi e gli specializzandi.

Confrontiamo ora la numerosità della “popolazione universitaria” con la popolazione residente, la cui numerosità rileviamo dai dati ISTAT. [18]

Tabella 3 . Popolazione Italiana. Anni 2011- 2019. Valori assoluti e percentuali. Fonte: ns. elaborazione dati Istat.

Anno

Uomini

Donne

Totale

2011

28.745.507

30.688.237

59.433.744

2012

28.726.599

30.667.608

59.394.207

2013

28.889.597

30.795.630

59.685.227

2014

29.484.564

31.298.104

60.782.668

2015

29.501.590

31.294.022

60.795.612

2016

29.456.321

31.209.230

60.665.551

2017

29.445.741

31.143.704

60.589.445

2018

29.427.607

31.056.366

60.483.973

2019

29.131.195

30.685.478

59.816.673

Variaz. % 2011-2019

+1,34%

-0,01%

+0,64%

Confrontiamo ora i dati relativi agli anni accademici dal 2015/2016 al 2018/2019 con quelli della popolazione residente degli anni dal 2015 al 2018.

Tabella 4 . Confronto fra popolazione italiana e popolazione universitaria. Valori assoluti e percentuali. Fonte: ns. elaborazione dati Istat, Miur Cineca e USTAT-Miur.

Anno

Popolazione residente in Italia

Popolazione universitaria italiana

% universitari sulla popolazione residente

2015

60.795.612

1.914.155

3,15%

2016

60.665.551

1.935.919

3,19%

2017

60.589.445

1.975.903

3,26%

2018

60.483.973

2.002.568

3,31%

Variazione % 2015-2018

-0,51%

+4,62%

Media 2015-2018

3,23%

Insomma, pur consapevoli dei limiti di questa forma di confronto, possiamo azzardare l’ipotesi che la popolazione universitaria rappresenti oltre il 3% della popolazione italiana. La maggior parte di essa è costituita da cittadini da considerare in formazione, vale a dire iscritti alle classi di laurea trienn ali e magistrali, iscritti ai master dei due livelli, ai dottorati di ricerca e alle scuole di specializzazione, che, sommati, rappresentano da soli circa il 3% della popolazione italiana (2,90% nel 2015/2016; 2,94% nel 2016/2017; 3,01% nel 2017/2018; 3,05% nel 2018/2019). [19]

Questa popolazione abita ed anima un sistema costituito da sedi universitarie che, in conformità con i parametri del Censis, abbiamo ordinato e definito in base a grandezza e tipologia: università statali – Mega, Grandi, Medie, Piccole, Politecnici e Scuole Superiori; università non statali – Grandi, Medie e Piccole; università telematiche , alcune delle quali hanno raggiunto considerevoli dimensioni per numero di iscritti come, ad esempio, la napoletana Pegaso che con i suoi 46.793 iscritti nell’anno accademico 2019/2020 può essere considerata alla stregua di una Mega università. [20]

Nello specifico, possiamo contare 67 sedi universitarie statali: 6 Scuole Superiori ad ordinamento speciale, 10 Mega Atenei, 16 Grandi, 18 Medi, 13 Piccoli e 4 Politecnici. Ad esse si aggiungono 20 università non statali (2 Grandi, 5 Medie e 13 Piccole), e 11 università telematiche. Il grafico seguente dà una prima idea della loro distribuzione territoriale.

Figura 1 . Sedi universitarie per area geografica e per grandezza.

L’intero sistema è finanziato per la maggior parte dal Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che dal suo inizio (1993), distribuisce i fondi principalmente sulla base della cosiddetta “quota storica” [21] e «si presenta come veicolo di finanziamento omnibus all’interno del quale fare ricadere sia gli interventi per il funzionamento sia allocazioni “premiali”» ( Banfi e Viesti 2016 : 277). Il FFO dal 2007 al 2019 è stato costituito dagli importi della seguente tabella:

Tabella 5 . Fondo di Finanziamento Ordinario. Anni 2007-2020. Anni 2007-2020. Valori assoluti e percentuali. Fonti: dati.camera.it [22] e Miur. [23]

Anno

Fondo di Finanziamento Ordinario

Variazione anno precedente (valori assoluti)

Variazione anno precedente (valori percentuali)

2007

7.167.884.004,26

2008

7.442.798.709,67

+274.914.705,41

+3,84%

2009

7.513.104.173,90

+70.305.464,23

+0,94%

2010

6.681.319.400,90

-831.784.773,00

-11,07%

2011

6.919.135.890,87

+237.816.489,97

+3,56%

2012

6.997.121.082,30

+77.985.191,43

+1,13%

2013

6.697.676.037,60

-299.445.044,70

-4,28%

2014

7.011.420.065,85

+313.744.028,25

+4,68%

2015

6.913.357.515,00

-98.062.550,85

-1,40%

2016

6.957.530.500,00

+44.172.985,00

+0,64%

2017

7.024.295.719,06

+66.765.219,06

+0,96%

2018

7.318.484.147,00

+294.188.427,94

+4,19%

2019

7.450.770.950,00

+132.286.803,00

+1,81%

2020

7.875.371.950,00

+424.601.000,00

+5,70%

Fino al 2008 la dimensione del fondo cresce. Come è noto, nel 2008 l’articolo 66 della già citata legge 133/2008 stabilisce una riduzione del FFO prevista come crescente dal 2009 al 2013. Nel 2011 va in vigore la legge 240/2010 (la c.d. “riforma Gelmini”). L’investimento pubblico nelle università si riduce «a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del paese» ( ibidem ). E, in effetti, «gli atenei del Nord […] beneficiano di entrate finalizzate da altri soggetti notevolmente superiori a quelle degli atenei delle altre aree geografiche» ( ANVUR 2018 : 226 ).

Il FFO viene ripartito in una “quota base” decrescente e in una “quota premiale” crescente. Dunque, in un quadro di forte contrazione (il picco negativo del FFO è nel 2013, quando registriamo un -10% rispetto al 2008) si rivela in realtà, per quanti ne usufruiscono, piuttosto come una mitigazione dei tagli.

La quota premiale viene inoltre assegnata in base a criteri numerosissimi, continuamente cangianti e prevalentemente retroattivi. Infine, dal decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 , [24] essa è ripartita per almeno tre quinti sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate a cadenza quinquennale dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR). La legge 98/2013 ha stabilito che la quota premiale del FFO aumenti di anno in anno fino ad un massimo del 30%. L’applicazione di queste disposizioni non può però determinare la riduzione della quota del Fondo per il finanziamento ordinario spettante a ciascuna università e a ciascun anno in misura superiore al 5 per cento dell’anno precedente. Uno fra gli ultimi provvedimenti sulla quota premiale è contenuto nell’art. 5 del DM 635/2016 che prevede che dal 2017 una quota pari al 20% della quota premiale sia distribuita tra gli atenei secondo i miglioramenti di risultato relativi ad indicatori da essi autonomamente scelti, e relativi alla qualità dell’ambiente della ricerca, alla qualità della didattica e alle strategie di internazionalizzazione. Il FFO ritorna ai livelli del 2007, e anzi li supera pure di poco (+2,10%), soltanto nel 2018. Nel 2020, quando attraverso alterne fasi è cresciuto del 9,87% rispetto al 2007, la quota premiale è stata pari a circa il 28% del totale delle risorse disponibili, ripartita per il 60% sulla base dei risultati della VQR 2011-2014 e per il 20% sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento relative al triennio 2017-2019, effettuata anch’essa utilizzando i dati della VQR 201 1-2014 ( D.M. 442/2020 ) .

La quota base a partire dal 2014 viene attribuita in misura crescente sulla base del calcolo del “costo standard di formazione per studente in corso”, come già previsto nella 240/2010 . La disciplina per il calcolo del “costo standard” è definita nel 2014, dal D.I. n. 893 , e ridefinita nel 2018 a seguito di un intervento della Corte Costituzionale . Tale criterio, infatti, svantaggiando «gli atenei collocati in contesti deboli, nei quali le competenze medie degli immatricolati sono più contenute e i tempi di laurea maggiori» ( Banfi e Viesti 2016 ), ha obbligato all’introduzione di correttivi. In particolare, per il triennio 2018-2020, il D.M. 585/2018 ha introdotto nel calcolo del costo standard due importi perequativi calcolati tenendo conto del reddito medio familiare della regione ove ha sede l’università e della diversa accessibilità delle università in funzione della rete dei trasporti e dei collegamenti.

Poiché le pagine che seguiranno riguardano essenzialmente le variazioni della numerosità dei docenti/ricercatori, diamo qualche breve cenno sulle disposizioni riguardanti il turnover, mettendo in rilievo i loro nessi con il finanziamento.

Partiamo ancora una volta dalla legge 133/2008 che attuava un blocco parziale del turnover per il quadriennio 2009-2012 (nei primi 3 anni al 20% delle cessazioni dell’anno precedente, nel quarto al 50%). Tale norma è stata immediatamente mitigata dal decreto-legge 180/2008 (convertito dalla legge 1/2009) che ha portato il turnover al 50% anche per il triennio 2009-2011 e vietato qualunque tipo di assunzioni per le università le cui spese di personale si situassero sopra il 90% del FFO.

Nel 2012, il D.Lgs. 49/2012 ha definito un indicatore delle spese di personale, definendolo come rapporto delle spese totali per il personale rispetto alla somma dei “contributi statali per il funzionamento” (come già era fino a quel momento) e “delle tasse, soprattasse e contributi universitari”. Da quel momento, quindi, aumentando le tasse studentesche si poteva diminuire l’indicatore di spesa per il personale e farlo rientrare sotto il limite massimo. Il decreto prendeva inoltre in considerazione le “spese di indebitamento” e stabiliva su base nazionale le possibilità assunzionali di ciascun ateneo, suddividendo le università in tre categorie alle quali – secondo la diversa situazione finanziaria – sono concesse assunzioni da un massimo del 10% delle cessazioni nell’anno precedente a un massimo del 20%, maggiorato di un certo importo x (il cosiddetto delta ) che è in relazione alle entrate al netto delle spese di personale, dei fitti e degli ammortamenti. I calcoli connessi sono complicati e gli esiti molto differenti fra gli atenei: per alcuni si tratta di pesanti tagli del personale, per altri addirittura di incrementi.

Una volta legate le possibilità di turnover a indicatori di natura finanziaria, negli atenei dove i valori delle tasse studentesche sono contenute – magari perché situati in territori svantaggiati – e il FFO rimane basso rispetto alle spese di personale, il personale decresce in maniera più consistente che in altri ( Banfi e Viesti 2016 : 277). E, lo ricordiamo, una «parte rilevante del differenziale nelle entrate tra gli atenei del Mezzogiorno rispetto a quelli del Nord è dovuto ai livelli delle tasse di iscrizione, tenuto conto che il contributo medio per studente è nel Mezzogiorno pari a circa il 50% rispetto a quello medio del Nord. Se gli atenei del Centro e del Mezzogiorno potessero innalzare le tasse universitarie ai livelli del Nord, al Centro le entrate per docente si porterebbero su livelli prossimi a quelli del Nord, e il differenziale del Mezzogiorno si ridurrebbe di quasi due terzi» ( ANVUR 2013 : 59).

Inoltre l’articolo 4 del D.Lgs. 49/2012 trasforma nella maniera ancora vigente i rapporti percentuali obbligatori fra le varie fasce, prescrivendo che il numero dei professori ordinari debba rimanere inferiore o eguale a quello dei professori associati e che nel caso esso sia superiore al 30% di tutti i professori (ordinari e associati), per ogni nuovo ordinario occorra assumere un nuovo RTD-B. Queste due condizioni si aggiungono a quelle stabilite dalla legge 240/2010, per le quali in ogni triennio almeno un quinto dei nuovi professori deve provenire dall’esterno dell’ateneo (art. 18, c. 4), mentre alle progressioni di carriera degli “interni” non possono essere dedicate più della metà delle risorse disponibili (art. 24, c. 6).

Il Decreto-legge 95/2012 (la c.d. “spending review” del Governo Monti, convertito dalla legge 135/2012 ), oltre a confermare quanto previsto dal precedente D.Lgs. 49 , precisa che il limite delle assunzioni riguarda non le singole università ma il sistema delle università statali esclusi gli istituti ad ordinamento speciale e ovviamente tutte le private, con un contingente di assunzioni deciso con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Da quel momento inizia un travaso di possibilità assunzionali da un ateneo statale all’altro.

Queste norme sono state applicate – con qualche variazione ma seguendo questo stesso schema – fino ad oggi. In sintesi: un limite per chi ha spese di personale e un indebitamento più alti, un limite maggiorato in maniera più o meno rilevante per chi ha una migliore sostenibilità finanziaria e per tutti un contingente di assunzioni possibili stabilito per decreto ministeriale. Significativa differenza è che dal 2018 il sistema nel suo insieme è tornato a un turnover del 100%. Per comprendere cosa significa possiamo guardare al Decreto Ministeriale n. 441/2020 che stabilisce che nel 2020 agli atenei con spese di personale pari o superiori all’80% o con un indicatore di sostenibilità economico finanziaria inferiore a 1, sia attribuito un contingente assunzionale non superiore al 50% alle cessazioni del 2019 e alle restanti Università sia attribuito un contingente base non superiore al 50%, più un contingente aggiuntivo. [25] La distribuzione delle facoltà assunzionali – fra chi può sostituire il 50% delle sue cessazioni, come le università di Cassino e del Salento, e chi può invece incrementare i suoi docenti/ricercatori fino al 455% delle sue cessazioni come l’Università degli Studi di Roma “Foro Italico”– non può superare, nel totale, il 100% del turnover complessivo nell’intero sistema delle università statali ( Viesti 2020 ).

Poiché come si è visto c’è un nesso fra FFO e turnover, è anche chiaro che c’è un nesso fra VQR – dalla quale dipendono almeno tre quinti della quota premiale del FFO – e turnover. Diamo quindi qualche brevissimo cenno anche sulle procedure VQR.

Il DPR 76/2010 , che contiene il regolamento della struttura e funzionamento dell’ANVUR – Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, istituita nel 2006 (secondo Governo Prodi, con Ministro Fabio Mussi), attivata nel 2010 e finanziata in parte con il FFO [26] – stabilisce che l’agenzia valuti la qualità dei risultati della ricerca delle Università e degli Enti di Ricerca, principalmente tramite valutazione tra pari.

Il processo prevede la costituzione di 14 GEV, Gruppi di Esperti Valutatori (uno per ciascuna area CUN) di nomina ANVUR. Essi sono responsabili della valutazione dei “prodotti della ricerca” dei ricercatori.

Ciascun “prodotto” da valutare è inviato a due revisori esterni, scelti indipendentemente dai due componenti del GEV cui il prodotto è stato attribuito, oppure è valutato all’interno del GEV. La valutazione avviene in single bind : mentre i valutatori conoscono l’identità del valutato, quest’ultimo ignora chi siano i suoi valutatori.

Il primo esercizio di VQR è stato avviato nel 2011, ha riguardato gli anni di pubblicazione 2004-2010, e i suoi risultati sono stati diffusi nell’estate del 2013. Il secondo è iniziato nel 2015, ha riguardato gli anni di pubblicazione 2011-2014, e i risultati sono stati pubblicati nel Febbraio 2017 (cfr. Bibliografia tematica 5.1. Sulle pratiche della valutazione). Il prossimo esercizio riguarderà il periodo 2015-2019.

Per completare i nessi fra premialità, VQR e reclutamento, ricordiamo la legge 232/2016 , che istituisce una premialità per i dipartimenti risultati “eccellenti” a partire dai risultati della VQR 2011-2014. Anche in questo caso gli importi premiali – che possono essere utilizzati fino al 70% per il reclutamento – non derivano da aumenti del FFO.

Infine, qualche parola sulle figure di docente/ricercatore della cui numerosità ci occuperemo nelle pagine seguenti. Iniziamo con le figure assunte a tempo indeterminato :

Professore di prima fascia (professore ordinario; PO);

Professore di seconda fascia (professore associato: PA);

Ricercatore a tempo indeterminato (RU; ruolo messo in esaurimento dalla legge 240/2010);

Assistente universitario (ruolo messo in esaurimento dal DPR 382/1980);

Professore incaricato (ruolo messo in esaurimento dal DPR 382/1980).

Le figure a tempo determinato sono:

Professore straordinario a tempo determinato legge 230/2005, con contratto di 3 anni rinnovabile per ulteriori 3 anni;

Ricercatore a tempo determinato legge 230/2005 (RTD-2005; messi in esaurimento dalla legge 240/2010);

Ricercatore a tempo determinato legge 240 del 2010 art. 24, comma 3, lettera b (RTD-B), con contratto triennale non rinnovabile al termine del quale, se in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale e con valutazione positiva dell’ateneo, c’è un passaggio diretto al ruolo di professore di seconda fascia;

Ricercatore a tempo determinato legge 240 del 2010 art. 24, comma 3, lettera a (RTD-A), con contratto di 3 anni, rinnovabile per ulteriori 2 anni;

Assegnista di ricerca, con contratto da un minimo di 1 a un massimo di 3 anni. Ogni assegnista non può comunque superare i 6 anni complessivi di contratti per assegno di ricerca.

La durata complessiva dei rapporti come assegnista di ricerca e di ricercatore a tempo determinato, non può in ogni caso superare i dodici anni, anche non continuativi.

Tanto per la mobilità fra le fasce quanto per il reclutamento pare opportuno ricordare la novità più importante che – durante il periodo preso in esame – è intervenuta in materia, vale a dire l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) – introdotta dalla la legge 240/2010 la cosiddetta “legge Gelmini” – che attesta la qualificazione scientifica ad occupare le posizioni di professore associato e di professore ordinario.

Se l’abilitazione alla prima o alla seconda fascia costituisce un prerequisito per partecipare alle procedure concorsuali per il passaggio da una fascia all’altra, queste – così come il reclutamento – sono gestite dagli atenei attraverso diverse forme di concorsi locali.

Per quanto riguarda i passaggi di fascia, ricordiamo che per l’art. 18 della legge 240/2010 almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo devono essere destinati alla chiamata di quanti nell’ultimo triennio non abbiano prestato servizio, o non siano stati titolari di assegni di ricerca o iscritti ai corsi universitari nell’università che bandisce il concorso.

Le procedure concorsuali possono essere distinte fra:

pubbliche (art.18, comma 1): per candidati interni ed esterni all’università che bandisce, con abilitazione scientifica nazionale o in servizio, con la stessa qualifica del posto messo concorso, presso università in Italia o all’estero;

aperte (art. 18, commi 1 e 4): per candidati esterni che non abbiano prestato servizio nell’ultimo triennio o che non siano stati titolari di assegni di ricerca o iscritti a corsi di studio presso l’università che bandisce;

riservate (art. 24, comma 6): per ricercatori e professori associati in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale interni all’Università che bandisce.

Per quanto riguarda il reclutamento, abbiamo procedure concorsuali per:

Ricercatori a tempo determinato legge 240/2010 di tipo A;

Ricercatori a tempo determinato legge 240/2010 di tipo B;

delle quali si dirà meglio in seguito.

In prospettiva, la tutela della mobilità interuniversitaria prevista dall’art. 18 della legge 240/2010 risulterà molto ridotta. Una volta esauriti i ricercatori a tempo indeterminato, la copertura dei posti per professore associato avverrà infatti prevalentemente per passaggi di ruolo (art. 24, comma 5) che riguarderanno i ricercatori a tempo determinato di tipo B a seguito di valutazione positiva dell’ateneo.

I dati che seguono, e che si focalizzano sulle categorie che compongono la popolazione universitaria, vanno letti, dunque, in un contesto di restrizioni del turnover, di decremento/contenimento del finanziamento pubblico e della sua crescente distribuzione su base premiale, ed infine di una sempre maggiore dipendenza degli atenei da altre fonti di finanziamento. Essi sono stati elaborati per far emergere andamenti che riteniamo significativi dell’evoluzione del sistema università nell’ultimo decennio. A questo fine, agli indicatori relativi a dimensione, tipologia e distribuzione territoriale degli atenei sono stati affiancati indicatori demografici, quali il genere, e scientifici, quali le aree CUN.

In chiusura del rapporto cercheremo di mettere in luce alcune delle tendenze del sistema universitario e di trarre alcune considerazioni sullo stato dell’università in Italia. Tuttavia, queste elaborazioni quantitative sono state concepite in stretto rapporto con l’intenzione di fornire alla comunità scientifica la possibilità di interrogare direttamente i dati. A questo scopo, come abbiamo già detto, rilasciamo le tabelle pivot grazie alle quali questi dati sono stati elaborati. Come ogni lettore potrà notare, non abbiamo sfruttato fino in fondo la notevole mole di dati cui abbiamo attinto, né ci siamo soffermati a cogliere i moltissimi spunti che questa ricognizione sull’università italiana ci ha offerto. Siamo però fiduciosi che la maggior parte dei lettori sarà stimolata a usare i materiali che mettiamo a disposizione per approfondire aspetti che in questo rapporto di mole già troppo grande abbiamo tralasciato, o soltanto accennato, utilizzando migliori e più sofisticate tecniche di elaborazione.

In altre parole, abbiamo voluto mettere a disposizione della comunità scientifica uno strumento in più per il lavoro di autoconoscenza, autoriflessività e autocoscienza che gli universitari stanno già compiendo da tempo, e che è già ricco di molti contributi di ricerca ai quali questo rapporto è evidentemente debitore (cfr. Bibliografia tematica 2008-2020). Il nostro intento, ed il nostro auspicio, sono che questo sforzo possa essere utile a nuovi studi ma, soprattutto, che un intensificarsi della ricerca sull’università possa finalmente contribuire alla formazione di un movimento d’opinione capace di attivare la spinta necessaria ad avviare un ripensamento profondo delle attuali politiche.


Note al capitolo

[14] Ns. elaborazione dei dati MIUR-Cineca. Poiché gli altri dati sono disponibili per anni accademici mentre le nostre elaborazioni sono per anno solare, abbiamo usato i dati relativi ai docenti/ricercatori dell’anno solare in cui l’anno accademico inizia.

[18] Cfr. ISTAT – Bilancio Demografico e popolazione residente per sesso al 31 dicembre: http://demo.istat.it/ .

[19] Fonte: ns. elaborazione dati ISTAT e USTAT-Miur.

[21] «Al riguardo, nel luglio 2007 la Commissione tecnica per la finanza pubblica (CTFP) del Ministero dell’Economia e delle finanze (istituita dalla legge finanziaria per il 2007: L. 296/2006) osservò come, a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, “il FFO sia stato allocato quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa, nonostante la predisposizione, da parte del CNVSU, di un modello di ripartizione”, ed evidenziò che ciò aveva determinato università finanziate in eccesso (fino al 36%) e università finanziate per difetto (fino al 43,1%)». Cfr. Il Fondo per il finanziame nto ordinario delle università: https://temi.camera.it/leg18/post/il_fondo_per_il_finanziamento_ordinario_delle_universit_.html .

[24] «l’art. 60, co. 01, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013), ha stabilito che la quota premiale è determinata in misura non inferiore al 16% per l’anno 2014, al 18% per l’anno 2015 e al 20% per l’anno 2016, con successivi incrementi annuali non inferiori al 2% e fino ad un massimo del 30% del FFO, e che di tale quota, almeno 3/5 devono essere ripartiti tra le università sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) – effettuata dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) – e 1/5 sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento. L’applicazione delle previsioni sulla misura della quota premiale non può, comunque, determinare la riduzione della quota del FFO spettante a ciascuna università e a ciascun anno in misura superiore al 5% dell’anno precedente». Cfr. Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università , cit.

[26] Art. 2, comma 142, D.L. 3 ottobre 2006 , convertito in legge « Agli oneri derivanti […], nel limite di spesa di 5 milioni di euro annui, si provvede utilizzando le risorse finanziarie riguardanti il funzionamento del soppresso CNVSU nonché, per la quota rimanente, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537 [che istituisce il FFO, N.d.A. ]». La quota assegnata all’ANVUR nel FFO nel 2020 è stata di 1.500.000 di euro (cfr. “ Criteri di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università Statali e dei Consorzi interuniversitari per l’anno 2020 ”; art. 8), a integrazione dello stanziamento 2019 (1.000.000) per l’esercizio della VQR 2015-2019.

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